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Sulla tracce di Dante

A volte un'osservazione, una frase, o alcune poetiche righe possono far nascere l'idea, la scintilla iniziale su cui costruire un articolo. Così è stato rileggendo, dopo molti anni, la Divina Commedia e, in particolare, i canti III e IV del Purgatorio da cui sono tratti i versi sotto riportati. In questi, infatti, sono riassunti i timori, le emozioni, le soddisfazioni di chi si appresta a compiere per la prima volta un'impegnativa escursione. C'é la descrizione del paesaggio e delle fatiche da affrontare, la ricerca della via più agevole da cui salire, le difficoltà che si presentano lungo la via, la paura di rimanere indietro, le parole rassicuranti della guida, la soddisfazione di aver raggiunto la vetta, l'appagante sosta finale. D'altra parte tutta la Divina Commedia è un viaggio: un viaggio attraverso il regno dei morti in cui Dante, come scrive il De Sanctis nella sua "Storia della Letteratura Italiana" «porta seco tutte le passioni de' vivi, si trae appresso tutta la terra... ed il poema soprannaturale diviene umano e terreno, con la propria impronta dell'uomo e del tempo. Riapparisce la natura terrestre come opposizione o paragone o rimembranza». Dante, viaggiatore ed escursionista, non si libera quindi delle cose terrene, non parla in astratto, ma cita, ricorda, descrive i luoghi a lui più familiari sulla terra. Ecco quindi apparire le terre fiorentine e molti luoghi dell'Italia Centrale, che il poeta ebbe modo di conoscere a fondo durante gli anni in cui visse nell'amata città natale. Ecco comparire le terre che fu costretto ad attraversare nel periodo dell'odiato esilio: il Veneto, con Verona, Venezia, Treviso, il Brenta; la Lunigiana, dove visse presso la famiglia Malaspina; il Casentino, che già conosceva avendo partecipato alla Battaglia di Campaldino, l'Emilia Romagna in cui morí, a Ravenna, nel 1321.

Noi divenimmo intanto a piè del monte:
quivi trovammo la roccia si erta,
che 'ndarno vi saríen le gambe pronte.
Tra Lerici e Turbia la piú diserta,
la piú rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole e aperta.
«Or chi sa da qual man la costa cala»
disse 'l maestro mio, fermando 'l passo,
«sí che possa salir chi va sanz'ala?»
[...]
Noi salavam per entro 'l passo rotto,
e d'ogne lato ne stringea lo stremo,
e piedi e man volea il suol di sotto.
Poi che noi fummo in su l'orlo suppremo
de l'alta ripa, a la scoperta piaggia,
«Maestro mio», diss'io, «che via faremo?».
Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia:
pur su al monte dietro a me acquista,
fin che n'appaia alcuna scorta saggia».
Lo sommo er'alto che vincea la vista,
e la costa superba piú assai
che da mezzo quadrante a centro lista.
Io era lasso, quando cominciai:
«O dolce padre, volgiti, e rimira
com'io rimango sol, se non restai».
«Figliuol mio» disse, «infin quivi ti tira»,
additandomi un balzo poco in súe
che da quel lato il poggio tutto gira.
Sí mi spronaron le parole sue,
ch'i' mi sforzai carpando appresso lui,
tanto che 'l cinghio sotto i pie' mi fue.
A seder ci ponemmo ivi ambedui
volti a levante ond'eravam saliti,
che' suole a riguardar giovare altrui.

(Purgatorio, canti III e IV)

L'idea è stata quindi quella di rivisitare, dopo più di 600 anni, alcuni dei tanti luoghi conosciuti dal Sommo Poeta, da lui ricordati nella Divina Commedia. Rivisitarli, però, a piedi; solo in questo modo infatti è possibile entrare nello spirito del tempo, quando i castelli, i borghi, gli eremi, i monti erano fondamentalmente raggiunti a piedi. E' chiaro che, inevitabilmente, è stato necessario operare una selezione. Dante, infatti, descrive e ricorda centinaia di luoghi. Di questi sono stati scelti quelli descritti in modo più particolareggiato e che meglio si prestano ad escursioni di largo respiro. Ovviamente, però, questa, come detto all'inizio, è un'idea, una proposta da cui partire per rileggere la Divina Commedia secondo un'ottica nuova, facendo seguire a questo l'esplorazione diretta dei luoghi danteschi.

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Testi e foto di Cinzia Pezzani & Sergio Grillo


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