Un salto indietro nel tempo di duemila anni, questo è
l’effetto prodotto dal rinvenimento del relitto effettuato nelle
acque elbane, a punta del nasuto di fronte Marciana Marina.
Si tratta di una grossa nave romana risalente al primo
periodo imperiale.
Lo straordinario stato di conservazione del carico che la nave trasportava
rende la scoperta una delle più interessanti mai verificatesi nei
mari italiani.
Vi erano infatti imbarcati nove dolia, grossi contenitori di ceramica
di due metri di altezza e cinque di circonferenza; insomma una sorta di
container dell’anitchità.
La nave sava transitando di fronte Marciana Marina, tra l’Elba e
la Corsica quando, verosimilmente, un forte vento di libeccio la rese
ingovernabile facendola affondare con il suo pesante carico.
Anche il suo rinvenimento ha il sapore della leggenda. Nei racconti di
molti pescatori si parlava di strani incidenti che capitavano alle loro
reti, rimaste impiagliate in quel fondale che le carte nautiche indicavano
profondo e sabbioso.
Alla fine è partita una piccola spedizione subacquea, della quale
hanno fatto parte studiosi di archeologia marina. Ed ecco svelato il mistero.
L’ottimo stato di conservazione della nave e del carico sarà
fonte di preziose informazioni sul commercio dell’epoca, che andranno
ad integrarsi con quelle già raccolte in un minuzioso studio della
dottoressa Paola Rendini, della Soprintendenza ai Beni Archeologici
della Toscana.
Rinvenimenti di questo tipo, seppure di importanza minore, sono stati
fatti anche in passato; nel piccolo museo archeologico comunale
di Portoferraio sono conservati, in apposite ampolle, campioni
di olio, vino e frutta secca trovate nelle numerose anfore ripescate nei
fondali elbani; si presume che anche in questo caso i dolia contengano
generi alimentari.
Dopo esere stati custoditi in un sepolcro d’acqua a 69 metri
di profondità, saranno di nuovo sfiorati da mano umana.
Sentirne gli odori, le consistenze, sarà come annullare di colpo
due millenni di storia che separano noi da chi li ha toccati per l’ultima
volta, o magari dagli stessi uomini che morirono nel naufragio. Abbastanza
vicini alla costa per sperare di salvarsi, ma in preda a un vento che,
da quelle parti, i pescatori più esperti, quelli con l’espressione
indurita dalla salsedine, hanno imparato a non sfidare.
Il comandante di quella nave che ieri scrutava con sguardo accigliato
l’orizzonte, oggi passerebbe le mani sulla tastiera di un computer
per tracciare la rotta con il sistema gps.
Eppure...eppure dopo tutto quel tratto di mare è ancora oggi solcato
da molte imbarcazioni e da altrettanti comandanti.
Viene da pensare a Braudel, quando diceva che al fondo
della storia umana esiste “il mare della lunga durata”,
una storia immutabile che non cambia quasi mai.
Forse non è un caso che Braudel, per spiegare questo concetto,
abbia usato proprio la metafora del mare.
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