Abitanti
nel 1991: 403.294
Il
territorio del comune di Firenze si estende per 102,41 kmq lungo il medio
corso dell'Arno, per gran parte in una conca racchiusa dalle colline costituenti
le estreme propaggini della catena subappenninica di monte Giovi e di
monte Morello e dei rilievi collinari dei cosiddetti monti del Chianti.
Già municipio romano, Firenze ha conosciuto la sua massima
importanza nel basso Medioevo e nel primo Rinascimento.
Il suo sviluppo urbanistico nel passato è documentato dalla successione
delle cinte murarie: rispetto alla città romana (il cui
cardo maius corrispondeva al tracciato delle attuali via Roma e via Calimala
e il decumanus maximus alle attuali via Strozzi e via del Corso), il perimetro
delle mura arretrò notevolmente in epoca bizantina, ma ritornò
alle vecchie dimensioni con il cosiddetto primo cerchio, edificato
in epoca carolingia, mentre all'interno la città era suddivisa
in quartieri, che prendevano il nome dalle sue porte principali: porta
Duomo, porta San Pancrazio, porta Santa Maria e porta San Piero. Nel 1172
fu costruita la seconda cerchia, che per la prima volta si estendeva
anche in Oltrarno e Firenze fu allora divisa in sestieri (San Pier Scheraggio,
porta Duomo, Borgo, porta San Piero, San Pancrazio e Oltrarno).
Il continuo incremento della popolazione convinse nel 1284 i reggitori
del comune a deliberare l'erezione della terza cerchia muraria,
la cui costruzione terminò nel 1333; quest'ultima, corrispondente
agli attuali viali di circonvallazione ed eseguita con provvida larghezza,
si rivelò, per il ristagno demografico dei secoli seguenti, sufficiente
a contenere l'espansione di Firenze fino all'Ottocento.
Nel 1343 intanto la città fu di nuovo divisa in quartieri (Santo
Spirito, Santa Croce, San Giovanni, Santa Maria Novella) e tale divisione
amministrativa si protendeva anche sul contado corrispondente. Firenze
è stata capitale del regno d'Italia dal 1865 al 1870. Delle
variazioni territoriali del comune accenniamo a quelle più recenti:
nel 1865 furono aggregati a Firenze parte dei soppressi comuni di Legnaia
e del Pellegrino e zone di territorio appartenenti ai comuni di Bagno
a Ripoli, Galluzzo e Fiesole; nel 1910 le furono aggregate le frazioni
di Settignano, Rovezzano, Pellegrino e parte di quelle di Coverciano e
Mensola appartenenti al comune di Fiesole; nel 1928 si aggiunsero zone
di territorio staccate dai comuni di Brozzi, Casellina e Torri, Galluzzo
e Sesto Fiorentino; nel 1939 fu infine staccata una parte della frazione
Ponte a Greve, assegnata al comune di Scandicci.
Le origini di Firenze dovrebbero risalire al X secolo a. C., quando
una popolazione italica di civiltà villanoviana si stabili alla
confluenza tra Mugnone e Arno. Ma le notizie antiche sono molto incerte
e non è possibile determinare con una certa approssimazione neanche
quando essa divenne municipium splendidissimum romano; certo è
che Silla, per punirla della fedeltà dimostrata a Mario,
la danneggiò gravemente ed è molto probabile che
essa risorgesse verso il 50 a. C. per la legge agraria di Giulio
Cesare. Sotto l'impero Firenze si accrebbe e acquistò
importanza: con Marco Aurelio, o forse con Diocleziano, divenne sede
del corrector Italiae, una sorta di governatore la cui giurisdizione
si estendeva sulla Tuscia e sull'Umbria. Mentre la città andava
cristianizzandosi (la nuova religione essendo stata introdotta da San
Miniato, che vi subì il martirio nel 250) avevano inizio i
secoli grami della crisi dell'impero e delle invasioni barbariche:
assediata dagli ostrogoti di Radagaiso (405) e liberata dalle truppe di
Stilicone nella ricorrenza del martirio di Santa Reparata, che
fu assunta allora a patrona della città, fu occupata
dai bizantini nel 541 e poi saccheggiata e semidistrutta da Totila
nel 552.
Nel 570 Firenze, con la Toscana, divenne dominio longobardo: la
decadenza non e in questi secoli così grave come si è creduto;
aumenta l'importanza del vescovado fiorentino, si erigono vari
edifici di culto (tra i quali il Battistero) e la città è
probabilmente sede di un duca. Per tre volte Carlo Magno vi fa
tappa, e a lui la leggenda attribuisce il ruolo di rifondatore
della città; nell'854 Lotario I unisce i comitati
fiesolano e fiorentino e decreta che il conte abbia la sua sede
a Firenze.
L'ultima invasione, quella ungara, devasta di nuovo le
sue campagne; ma con gli Ottoni la città può rifiorire
e il marchese Ugo di Toscana abbandona la sede di Lucca verso la
fine del X secolo per porre la residenza definitiva a Firenze. Ingranditasi
e abbellitasi con monumenti dei quali in qualche caso può ancor
oggi menare vanto, Firenze conosce grosse lacerazioni di carattere
politico-religioso verso la metà dell'XI secolo, quando un
monaco di nobile origine, Giovanni Gualberto, ha il coraggio di
accusare il potere vescovile di corruzione e di avidità:
costretto a rifugiarsi sul monte di Vallombrosa riesce alla fine a trionfare,
obbligando il vescovo Mezzabarba a lasciare la città. Di
tale vittoriosa rivolta è protagonista, con Giovanni Gualberto,
anche il popolo fiorentino che tende a mostrare crescente volontà
d'indipendenza e passione politica; nel 1115 alla morte della contessa
Matilde (della quale a suo modo era stato suddito critico ma leale)
il comune è già virtualmente costituito. Col passare
degli anni alle lotte, quasi sempre vittoriose, contro i feudatari
del contado unisce il consolidarsi e lo svilupparsi delle proprie istituzioni
repubblicane: il governo è affidato a dodici consoli,
mentre un consiglio di Cento Buonomini e un più vasto Parlamento
sono le assemblee che hanno funzioni consultive e deliberanti. Se di fatto
già da tempo Firenze era riuscita ad assoggettare il contado
circostante (l'antica Fiesole è debellata dall'esercito fiorentino
nel 1125, Figline nel 1162), il primo riconoscimento ufficiale arriva
nel 1197 quando l'imperatore Enrico IV riconosce una sorta di giurisdizione
dei consoli fiorentini anche fuori delle mura cittadine. Nel 1193
compare per la prima volta la carica di Podestà (che fu
un cittadino, ma poi dal 1207 un forestiero), un ufficiale che durante
il suo incarico dalla durata annuale detiene il potere esecutivo.
Le lacerazioni nell'oligarchia dirigente si acuiscono con il crescere
dell'importanza della città e degli interessi privati: secondo
la leggenda, nel 1215, i grandi cittadini si dividono nelle due
contrapposte fazioni dei guelfi e dei ghibellini, prendendo a pretesto
un fatto di sangue conseguente alla rottura di una promessa di matrimonio.
Ciò non rallenta lo sviluppo della città, ma crea frequenti
scontri e una interminabile faida che coinvolge tutte le
famiglie tradizionalmente potenti, le cui fortune private finiscono
con l'essere strettamente connesse alle alterne vicende della lotta
politica. Ne approfittano i ceti mercantili emergenti, che
già dal 1250 al 1260 conquistano il potere cittadino con
il governo detto del «Primo Popolo».
Nel 1260 Firenze subisce la grave disfatta di Montaperti, ad
opera di Siena e dei fautori filo-svevi toscani, tra i quali si annoverano
anche numerosi fuorusciti, capitanati da Farinata degli Uberti. Quest'ultimo
particolare permette alla città di non soffrire rappresaglie troppo
gravi oltre a un esodo massiccio dell'élite guelfa.
Con la tragica fine della dinastia sveva, Firenze ritorna guelfa e
filo-pontificia nel 1267 e mentre da un lato acquista grande influenza
nella città l'organismo della Parte Guelfa, raggruppante sia l'antica
élite aristocratica guelfa che alcune ricche famiglie di più
recente origine ad essa assimilatesi, dall'altro la classe dirigente cittadina
si avvia a compiere un profondo mutamento socio-politico. La progressiva
affermazione delle corporazioni artigiane quali organi istituzionali
e l'acquisizione di ingenti patrimoni da parte di alcune famiglie
del ceto mercantile portano nel 1282 (dopo l'intervento pacificatore
delle antiche fazioni fatto due anni prima dal cardinale Latino) all'istituzione
del priorato delle Arti, una forma di governo che durerà
per secoli e che riconosce il diritto al governo della città
ai soli iscritti alle corporazioni. Mentre continua con successo il
disegno di egemonia sulle città circostanti (Pisa è
sbaragliata dagli alleati genovesi alla Meloria nel 1284, Arezzoè
sconfitta a Campaldino nel 1289) vengono promulgate dai governanti provenienti
dal mondo artigiano leggi sempre più favorevoli al popolo:
nel 1289 è abolita la servitù della gleba nel
contado, nel 1293, auspice Giano della Bella, si mobilita al
fianco dei ceti medi il popolo minuto contro la persistente tracotanza
dei Grandi e vengono promulgati gli Ordinamenti di Giustizia, una
legislazione di carattere fieramente antimagnatizio, per la cui inflessibile
applicazione è istituita la carica del Gonfaloniere di Giustizia.
Il tono democratico di tali leggi provoca la reazione sia degli
aristocratici che dei ricchi mercanti; questi nel 1295 riescono a far
allontanare Giano della Bella dalla città e a smorzare
alcune delle disposizioni a loro avverse.
Segue una fase di riflusso e, fomentate da Bonifacio vili, le
fazioni dei Bianchi e dei Neri dominano la scena politica. La nuova
divisione è causata più che da motivi di carattere
sociale, comunque coinvolgenti solo gli strati superiori della popolazione,
da ragioni di carattere economico. Nel 1301 con l'aperto
appoggio di Carlo di Valois inviato da Bonifacio VIII, i
Neri hanno il sopravvento e si compie ancora il consueto rito cittadino
delle proscrizioni e degli esili, a danno dei maggiorenti bianchi (1302).
Dal 1312 al 1328 la guelfa Firenze rischia di essere assoggettata dai
ghibellini esterni: prima per la discesa dell'imperatore Arrigo VII
(ma riesce a resistere con successo, malgrado le speranze di Dante, acquistando
grazie a ciò ulteriore autorevolezza nel contesto politico italiano),
poi forse con maggiore pericolosità per le guerre di Uguccione
della Faggiola e di Castruccio Castracani, che riescono a infliggere
a Firenze brucianti sconfitte. Si ritiene allora necessario invocare
la protezione angioina, offrendo la signoria della città
a Carlo duca di Calabria (1325), ma l'avidità di costui
e del suo seguito (quasi un milione di fiorini estorti in diciassette
mesi) e gli scarsi vantaggi militari che ne derivano fanno sì che
Firenze tema davvero per il suo futuro: per buona sorte invece
muoiono il temibile Castruccio (1328) e poco dopo il rapace
Carlo; la città si ritrova libera e può riprendere
la propria politica egemonica nella Toscana centrale, ponendo sotto
la propria sovranità pro tempore, tra il 1331 e il 1338, Pistoia,
Cortona, Arezzo e Colle Val d'Elsa. Il suo governo, schietta espressione
del «popolo grasso» che si articola soprattutto sull'alternanza
nei ruoli di potere di una quarantina di casati eminenti, soffoca
con relativa facilità alcuni tentativi insurrezionali
provocati da famiglie magnatizie.
Il fortunato periodo si interrompe per la mancata conquista
di Lucca, strappata a Firenze dai pisani con un gesto di forza. Immemori
di un passato abbastanza prossimo, i fiorentini offrono a un avventuriero
vassallo del re di Napoli, Gualtieri di Brienne duca d'Atene, ingaggiato
come comandante delle truppe fiorentine, la signoria a vita della città
nel settembre del 1342. Chi aveva sperato in lui è presto deluso:
il conflitto con Pisa termina con una pace compromissoria, ma Lucca
resta in mano agli avversari; le sue iniziative di politica interna,
demagogiche e sopraffattori e, divengono ben presto insopportabili,
e a furor di popolo nel luglio del 1343 è cacciato. La vicenda
ha strascichi notevoli nella lotta per il potere cittadino, e il popolo
delle arti, impugnate le armi, riesce alla fine a salvaguardare
la costituzione contro gli attacchi delle grandi famiglie popolane
e dei magnati. Quasi contemporaneamente (e senza dubbio anche conseguentemente)
Firenze, che poteva a buon diritto essere considerata la più
ricca città d'Europa, è travolta dalla crisi economica:
i grandi clienti europei delle sue banche, insolventi, determínano
il fallimento degli Acciaioli, dei Bardi, dei Peruzzi e di numerose
altre compagnie (1342-46); a ciò si aggiunge poco dopo la catastrofe
demografica della peste (1348), che secondo le fonti riduce di
due terzi la popolazione. La città esce da questi drammatici
avvenimenti ridimensionata ma ancora, potente, pur se cambiano
i nomi delle famiglie cittadine protagoniste e si affermano nell'élite
gli Alberti, i Ricci, gli Albizi, gli Strozzi e i Medici. Difesasi validamente
contro un tentativo di invasione da parte di Giovanni Visconti,
nella seconda metà del XIV secolo Firenze lotta nella guerra
detta degli «Otto Santi» contro le mire di supremazia
pontificia nell'Italia centrale. Il conflitto provoca alla lunga
notevoli tensioni sociali interne. Sotto la guida di un cardatore,
Michele di Lando, il proletariato cittadino si solleva
e occupa i centri di potere: è il cosiddetto «tumulto dei
Ciompi» (1378). La rivolta ha dapprima successo; Michele è
proclamato gonfaloniere, si creano tre nuove arti (dei Tintori, dei Farsettai,
dei Ciompi: minutissimi artigiani e operai salariati), si ottiene che
in tutti gli uffici, a cominciare dal priorato, alle tre nuove arti spetti
un terzo dei posti, si eleggono addirittura dei «cavalieri del popolo».
La vecchia classe dirigente, dapprima sbigottita, risponde
poi ritirandosi in campagna e paralizzando con una sorta di serrata
botteghe e opifici: le è facile, dopo meno di due mesi,
sbaragliare i Ciompi, riconquistare la città e, nel febbraio
del 1382, eliminare ogni norma stabilita in seguito alla rivolta e
riaffermare l'antica costituzione, anzi forgiarla sempre più
verso forme di ristretta oligarchia. L'antico comune volge ormai alla
fine del suo ciclo storico. Nel 1393, dopo una lotta durissima
tra gli Alberti e gli Albizi, questi ultimi hanno il sopravvento
politico e, con un ristretto numero di altri eminenti cittadini a
loro alleati, detengono saldamente per qualche decennio le redini del
governo.
Nel 1427 viene istituito il catasto, cioè l'accertamento fiscale
sulla base delle denunzie individuali dei beni; le centinaia di filze
che ancora oggi si conservano sono una delle maggiori testimonianze del
grado di civiltà raggiunto da Firenze e dalla popolazione
fiorentina. Nel 1433 per l'oligarca Rinaldo degli Albizzi arriva lo
scontro decisivo con Cosimo dei Medici, ricchissimo mercante e sagace
capo dell'opposizione; Rinaldo riesce in un primo tempo a farlo esiliare,
ma l'anno seguente è costretto ad abbandonare la città,
mentre Cosimo vi fa ritorno ed è accolto trionfalmente dal popolo.
Facile è allora per il Medici stabilire una signoria di
fatto, pur lasciando formalmente intatte le antiche istituzioni della
repubblica. Sotto l'egida di Cosimo Firenze perde la propria libertà,
ma apparentemente ne è compensata con il grande prestigio politico
che acquista nello scacchiere italiano (decisivo è l'appoggio dato
da Firenze allo Sforza per impadronirsi del ducato di Milano) e con lo
straordinario rigoglio culturale che l'astuto mecenatismo mediceo
incoraggia a piene mani. Morto Cosimo nel 1464, la successione
è raccolta per cinque anni dal figlio Piero il Gottoso e
poi dal figlio di questi Lorenzo il Magnifico che, sfuggito nel
1478 al feroce attentato tramato da papa Sisto IV, da Francesco
Salviati e dai Pazzi, rinnova i fasti culturali dell'avo (di
cui non possiede comunque il genio mercantile) e ne continua l'accorta
politica di moderatore nella vita politica italiana. Dopo la morte
di Lorenzo (1492) il contegno remissivo del successore Piero di fronte
a Carlo VIII, re di Francia, calato in Italia per occupare il regno
di Napoli, e l'ormai evidente bancarotta delle loro imprese commerciali
determinano la cacciata dei Medici da Firenze (9 novembre 1494).
Il frate domenicano Girolamo Savonarola diviene allora l'ispiratore
della politica fiorentina.
Ristabilito di fatto il governo repubblicano, riformato attraverso due
consigli, quello Generale e quello degli Ottanta, la città vive
per anni in un clima artificioso d'ascesi imposto a tutti i cittadini
dalla predicazione apocalittica del frate. Ben presto la rivalità
che oppone i fautori del Savonarola (i cosiddetti Piagnoni) agli Arrabbiati,
partigiani del governo oligarchico, la scomunica di Alessandro VI contro
il frate, gli intrighi medicei e il venir meno del favore popolare
segnano la caduta del Savonarola, che finisce i suoi giorni, il
23 maggio 1498, sul rogo. Il regime repubblicano sopravvive quattordici
anni al Savonarola, proseguendone l'ordinamento costituzionale attraverso
l'istituzione del gonfalonierato a vita con Pier Soderini
(1502). Morto Piero dei Medici nel 1503, la famiglia, esule
dalla città, non resta inattiva: il cardinale Giovanni, fratello
di Piero, riesce infatti a coinvolgere papa Giulio II in una
politica favorevole al ritorno della casata al governo di Firenze
e nel 1512 un esercito ispano-pontificio, dopo il sacco di Prato, costringe
Firenze alla resa. Poco dopo il cardinale Giovanni ascende al pontificato
col nome di Leone X e fino al 1527 Firenze viene praticamente
governata dalla corte pontificia, rappresentata dal 1518 dall'arcivescovo
Giulio, figlio illegittimo di Giuliano dei Medici, divenuto papa
nel 1523 con il titolo di Clemente VII. Nel maggio 1527
il sacco di Roma da parte delle truppe imperiali offre l'occasione alle
fazioni antimedicee per cacciare i due giovinetti, Ippolito
e Alessandro dei Medici, rappresentanti in città di Clemente
VII. L'insurrezione dà vita all'ultima effimera repubblica fiorentina,
ma, nel 1529, la riconciliazione tra Clemente VII e l'imperatore Carlo
V apre la strada al ritorno della dinastia. Il 12 agosto 1530,
dopo un'eroica resistenza di undici mesi, la repubblica fiorentina
deve arrendersi alle truppe imperiali. L'anno seguente Alessandro
dei Medici, su designazione di Carlo V, prende possesso della città,
sulla quale avrebbe governato con il nuovo titolo di duca. La riforma
costituzionale che ne seguì segnò la fine degli antichi
ordinamenti comunali e repubblicani e l'inizio di un regime a carattere
monarchico.
Ucciso Alessandro da un parente, Lorenzino dei Medici (1537), su consiglio
di Francesco Guicciardini salì al potere Cosimo, figlio
di Giovanni dalle Bande Nere. Con il governo di Cosimo I
la storia della città-stato di Firenze si confonde con quella
della Toscana, alla quale Cosimo riusci a dare unità politica
e amministrativa (con la guerra di Siena, dal 1553 al 1559, i Medici acquisirono
anche i territori senesi e grossetani). Non riuscì invece a restituire
a Firenze il ruolo di importantissimo centro culturale e commerciale
ricoperto in passato dalla città, che decade progressivamente
fino al Settecento. Spentasi con Giangastone la dinastia
medicea (1737), la successione fu raccolta dalla casa Asburgo-Lorena
e, dopo quasi trent'anni di reggenza (preferendo Francesco Stefano, legittimo
sovrano, risiedere a Vienna), Firenze tornò ad accogliere nel 1765
una corte regnante con Pietro Leopoldo; costui, con la sua politica
di riforme e con l'attuazione di un piano di bonifiche di vaste zone del
granducato, fece risorgere Firenze e l'intero stato dal lungo periodo
di decadenza. A Pietro Leopoldo, divenuto imperatore nel 1790,
successe Ferdinando In il quale non poté impedire l'occupazione
francese del granducato nel 1799. Questa occupazione durò,
con molti mutamenti istituzionali, fino al 1814: dal 1801 al 1807
Firenze fu capitale del regno d'Etruria sotto i Borboni di Parma,
poi capoluogo del dipartimento dell'Arno annesso all'impero francese e
dal 1809 al 1814 capitale del granducato di Toscana sotto Elisa Baciocchi,
sorella di Napoleone. Nel 1814 rientrò a Firenze Ferdinando
III di Lorena, al quale successe nel 1824 il figlio Leopoldo
II.
In questo periodo la città visse una vita tranquilla, solo per
breve tempo turbata dagli ardori rivoluzionari del '48 in
Toscana, capeggiato dal Guerrazzi con un seguito qualificato ma
esiguo di intellettuali, finché nel 1859, senza sommosse,
Leopoldo II abbandonò Firenze e la Toscana. Annessa al
regno d'Italia Firenze ne divenne capitale dal 1865 al 1870. L'insediamento
della corte di Vittorio Emanuele II e dei ministeri diede nuovo impulso
alle attività cittadine: per opera dell'architetto Giuseppe
Poggi si compì una grandiosa sistemazione urbanistica
con l'abbattimento delle mura medioevali e la loro sostituzione
con larghi viali alberati, tagliati da piazze simmetriche sulle aree delle
antiche porte. Ma la partenza della corte e del governo per Roma lasciò
Firenze alle prese con onerosi debiti e difficoltà di bilancio
nel portare a compimento i progetti urbanistici già intrapresi.
Nel 1887 un ultimo drastico intervento distrusse, con la
demolizione dell'antico centro della città, le preziose
memorie dell'ambiente medievale. Una stagione ricca di fermenti
intellettuali visse di nuovo la città tra la fine dell'Ottocento
e gli anni trenta del Novecento, con illustri docenti universitari,
caffè letterari e riviste, e interventi urbanistici innovativi
(la stazione, lo stadio) o comunque dignitosi (i nuovi quartieri edificati
immediatamente al di là dei viali). Nel corso della seconda
guerra mondiale dovette soffrire ingenti danni, prima per i bombardamenti
aerei anglo-americani, poi perché i tedeschi in ritirata distrussero,
tra il 3 e il 4 agosto 1944, tutti i ponti sull'Arno ad eccezione del
Ponte Vecchio, il cui accesso fu però sbarrato con la demolizione
degli edifici medievali circostanti; Firenze fu la prima grande città
italiana che si liberò da sé, l' 11 agosto 1944, e da sé
assunse, per tramite del Comitato toscano di Liberazione nazionale, l'amministrazione
della vita cittadina, offrendo un esempio per la liberazione dei grandi
centri dell'Italia settentrionale. I primi anni del dopoguerra
furono caratterizzati dall'opera di ricostruzione, che, compiuta
in circa un decennio, fu poi seguita da una nuova alacre attività
edilizia, giustificata dal forte crescere della popolazione urbana,
ma difficilmente giustificabile in vari casi quanto a qualità e
vivibilità dei nuovi quartieri. L'amministrazione comunale nell'ultimo
cinquantennio è stata caratterizzata dall'alternarsi di
giunte di sinistra e giunte centriste, nei primi due decenni talvolta
assumendo rilievo nazionale e internazionale per il loro profilo di laboratorio
politico (in particolare con i sindaci Fabiani e La Pira). Il 4 novembre
1966 una disastrosa inondazione dell'Arno colpì la città,
provocando danni assai gravi alle persone, alle attività economiche
e ai beni culturali. Nel 1970 con la costituzione della Regione Toscana
Firenze ne è divenuta il naturale capoluogo e sede dei suoi principali
uffici amministrativi. Da allora la vocazione della città è
parsa attestarsi essenzialmente su un ruolo turistico-commerciale
che, se ha garantito vari benesseri privati, ha finito col ridimensionarne
in parte il mito di città-simbolo, mentre molti dei problemi
connessi con la vivibilità in una moderna metropoli rimangono
irrisolti.
Soprattutto in epoca medievale e fino a tutto il Cinquecento, Firenze
ha dato i natali a un grandissimo numero di personalità.
Per quanto riguarda i cronisti, gli storici, gli economisti e i letterati
ricordiamo tra gli altri: Brunetto Latini (1220-1295); Dino
Compagni (1225-1324); Guido Cavalcanti (1225-1300); Dante
Alighieri (1265-1321); Giovanni Villani (1280-1348); Luigi
Pulci (1432-1484); Niccolò Machiavelli (1469-1527) e
Francesco Guicciardini (1483-1540); lo storico ed economista
Bernardo Davanzati Bostichi (1529-1606); il letterato Giovan
Battista Zannoni (1774-1832); lo storico e pedagogista Gino Capponi
(1792-1876); gli scrittori dell'Ottocento Pietro Thouar (1809-1861),
Carlo Lorenzini alias Collodi (1826-1890) e Augusto Novelli
(1867-1927); Giovanni Papini (1881-1956); Emilio Cecchi
(1884-1966); Aldo Palazzeschi (1885-1977) e Vasco Pratolini
(1913-1991) lo storico e uomo politico Giovanni Spadolini (1925-1994).
Nelle arti plastiche e figurative e nell'architettura: Maso di Banco
(prima metà XIV sec.); Filippo Brunelleschi (1377-1446);
Lorenzo Ghiberti (1378-1455); Donatello (Donato di Betto
dei Bardi, 1386-1466); Luca (1400-1482), Andrea (1435-1525)
e Giovanni Della Robbia (1496-1529); Filippo Lippi
(1406-1469); Benozzo Gozzoli (1420-1497); Sandro Botticelli
(1444-1510); Benvenuto Cellini (15001571); Bernardo Buontalenti
(1536-1608); Telemaco Signorini (1835-1901); Ottone Rosai
(1895-1957). Fra i musicisti Ottavio Rinuccini (1564-1621); Giovan
Battista Lulli (1632-1687); Luigi Cherubini (1760-1842). Numerosi
gli scienziati, gli inventori e gli esploratori: Amerigo Vespucci
(1454-1512); il botanico Pier Antonio Micheli (1679-1737); l'agronomo
Cosimo Ridolfi (1794-1895); Antonio Meucci (1808-1889),
che rivendicò l'invenzione del telefono.
Parte storica riprodotta su autorizzazione della
Regione Toscana - Dipartimento della Presidenza E Affari Legislativi e Giuridici
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